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L'UCRONÌA di CAGLIOSTRO … MAESTRO PASSATO

Ricerca documentale del Venerabilissimo Fratello Arturo Oreste Maria Cesarano

 Qualche settimana addietro, mi è capitata la ventura di incontrare un carissimo ed “antico” Amico e Fratello, da me, come da tanti altri, stimatissimo, perché attentissimo esploratore e ricercatore nella storia latomistica meridionale, in particolare, ma anche delle recenti origini, a far data dal secolo XVIII, della massoneria europea, e di talune delle sue metamorfosi storiografiche; questo da quei dì, sin quasi ai giorni nostri.


Tante, feconde e copiose sono le sue pubblicazioni, utile strumento per chi, come me, non pago dei luoghi comuni e dei propri convincimenti, spinto dalla curiosità, dal desiderio di conoscenza, utilizzi gli “altrui scritti”, non come oro colato, ma per prendere spunto ed ispirazione, da quanto si riferisce circa i maestri del passato, e da tutti coloro che ci hanno preceduto, finalizzando tutti nostri pensieri e le nostre azioni, al rammentare, costantemente, l’obiettivo del nostro essere iniziati.


Mi piace pensare che una ragione, del nostro percorso iniziatico, forse l’unica, possa raffigurarsi in una locuzione tratta (a proposito di maestri passati), dal Libro II° di Lucrezio, poi successivamente mutuata da un altro, a mio avviso, grande Maestro Passato: …


ET QUASI CURSORES, VITÆ LAMPADA TRADUNT


E come i corridori, di una staffetta interminabile, che si proiettano verso una gnosi ed una morale universale, passiamo la fiaccola della vita, narrando e trasmettendo la luce, della quale siamo portatori … e non certamente di un mero dato biologico, bensì latori consapevoli anche di una comunicazione e trasmissione memetica, amalgamata in un processo spagirico interiore, acché si trasformi in un complesso di elementi e di valori che travalicano il singolo, per divenire … patrimonio dell’umanità …


Ho ravvisato opportuna, questa premessa concettuale, per tentare di trasferire lo spirito, l’animo e la finalità con i quali, io, personalmente, sempre, senza eccezione alcuna, mi accosto agli altrui pensieri, espressi in qualsivoglia forma comunicativa.


Il mio augurio ed auspicio più sincero è che, anche coloro che si avventurassero a leggere quanto vado a scrivere, possano accostarsi, ai concetti che, sommessamente, desidero esternare, con il medesimo spirito critico, scevri ed avulsi dai coinvolgimenti intellettuali, culturali e nozionistici, sia propri, sia da altrui indotti, e che tali coinvolgimenti non “sussistano”, se non perché frutto un proprio moto emozionale, il quale, affrancato da condizionamenti, subordinazioni e suggestioni, renda il lettore “libero” di formarsi, in una idea, figlia, esclusivamente, della propria interiorità.


L’occasione dalla quale ho preso spunto per questa mia ricerca, e che per maggior completezza e volevo rendervi partecipi, è stata la presentazione, in un noto circolo della "cosiddetta" Elite Massonica napoletana, di un “saggio” sul Nostro” … Conte Alessandro di Cagliostroalias, … tale: Giuseppe Balsamo(atteso che,  tanti affermano, di contro, anche tale egli possa essere).


Due momenti, in particolare, di questo incontro, al quale, mi è parso, fosse partecipe, il fior fiore della "sedicente" Massoneria Napoletana, mi hanno fatto riflettere …


Vorrei condividerli con chi mi legge, per trarre spunto e poter, da queste, personali, elucubrazioni, trattare del “Gran Cofto”, Alessandro Conte di Cagliostro.


Il saggio di cui si è trattato in quella presentazione, è in effetti, una riproposizione, aggiornata, di una precedente pubblicazione circa il medesimo argomento e del medesimo autore: il Fratello Ruggiero Ferrara di Castiglione.


L’opera è:

Il conte di Cagliostro e il cavaliere D'Aquino. Alle origini della massoneria mediterranea.


Lodevole sinonimo, questo, a mio avviso, di un animo non pago, dei risultati raggiunti; desideroso di non dare per scontato alcuno dei suoi precedenti convincimenti, libero dai responsi delle “carte” ed aperto alle incertezze dello spirito.

Riveduta e certamente notevolmente ampliata è la bibliografia, la quale passa dai “mille titoli” che costituivano il Repertorio Bibliografico della precedente edizione, ai circa “millecinquecento” che sono posti a fondamento di quella aggiornata ricerca.


Ma … “mille o più libri non fanno necessariamente una verità


Ed è proprio da questo assunto che desidererei incipiare queste mie considerazioni, non prima però di aver esternato una, individuale, analisi, sulla quali vi inviterei a soffermarvi ed a trarre le vostre attente valutazioni.


Attraverso, sorry for you, un non breve proemio, del quale preliminarmente faccio ammenda, che non vuole assolutamente essere una protasi, bensì un sommesso glossario chiarificatore, non della terminologia usata, quanto, piuttosto, del percorso mentale e di ricerca posto a fondamento di questo elaborato, con l'umile scopo di illustrare le linee concettuali ed anche il perché di talune scelte che potrebbero apparire poco funzionali ad un excursus storico iterpretativo.

Tento di porre riparo a questi miei scrupoli, attingendo ad una fonte personale, cioè riportando un breve abstract dalla introduzione di uno scritto, in itinere, sul quale, pretestuosamente, mi sto cimentando, e che argomenterà, se è nei disegni del S\A\D\M\, su di un altro dei nostri Grandi Maestri Passati, “don Raimondo de Sangro, Principe di Sansevero”. 


Abstract  TRATTO DA UN ALTRO MIO ELABORATO IN FASE DI STESURA DEFINITIVA E REVISIONE

… [omissis … ] [ndr. Riportiamo pedissequamente da un nostro vergato … quale, a nostro sommesso avviso, premessa per la avere la opportuna cognizione delle motivazioni che sono alla base della particolare tipologia di lavoro ed illustrazione della ricerca, ciò al fine di Illustrare la metodologia e l’approccio rigoroso con il quale si è affrontato l’Argomento : è importante, io credo, questa premessa, al fine illustrare, accuratamente, sia la metodologia di lavoro adottata sia il  perché della scelta di un determinato approccio.]

 

Quanto si è scritto, rimaneggiato, riscritto, e confutato, asserito, condiviso, contestato, elucubrato ed elaborato, sulla straordinaria figura di “ … … ” … questa è una indiscutibile analisi, ed allora, come poter aggiungere parole alle tante, dette, ma soprattutto scritte, senza poi incorrere nell’inganno, affabulante, tal quale il mellifluo e suadente canto di una sirena che, obnubilando la volontà di chi, sull’argomento, ha già letto tanto, ma non certamente tutto, cade, facilmente, in una euristica trappola cognitiva capovolta, per effetto della quale, come invertendo la teoria del “complotto letterario baconiano”, chi si accinge a scrivere, non ha contezza di riportare e spacciare, come proprie, fascinose frasi ed elaborate argomentazioni di altri, che lo hanno preceduto.


Risulta quindi, quasi naturale, attribuirsi la paternità ed ostentare il concepimento di concetti mentali indotti, frutto di stimoli intellettuali e sensoriali che plagiano la nostra libertà di pensiero, e quindi canalizzano la nostra fantasia.


Essi, i concetti mentali indotti, rischiarano, per noi, un percorso illuminato dalle luci di altri, e ci inducono ad esprimere, inconsciamente, un pensiero che non è il nostro, privandoci della possibilità di ricercare, nel buio del nostro animo … la “nostra propria illuminazione”, non consentendoci quindi, poi, una libertà di immaginazione e di ricerca interiore, e la sua conseguente metabolizzazione ed esternazione, di concetti liberi nostri, e non istigati da letture ed elucubrazioni, ancorché fascinose, di altri.


Che dire ancora dei fiumi di parole scritte, del copioso numero di testi e pubblicazioni, infarciti di altrui citazioni, sovrabbondanti di note, di riporti a piè pagina (più che raramente, meglio dire, quasi mai … frutto di considerazioni esplicative dei pensieri dell’autore), che celebrano e rievocano citazioni di nomi illustri, più o meno famosi.


E’ come se, attraverso la rimembranza e la trascrizione delle altrui citazioni e degli assunti di altri, portati a supporto degli argomenti degli estensori, i ragionamenti che sono, nella maggior parte dei casi, più frutto di plagi concettuali, piuttosto che partoriti dal loro “liberopensiero; perché suppongono essi che, quanto da loro riportato e scritto, possa assurgere al “rango” di inconfutabile ed incontestabile … “verità rivelata”, semplicemente per effetto dei richiami e dei riporti.


Volendo lasciare alla libertà ed alla liberalità di chi ha la pazienza e la capacità di sopportazione di leggerci, ed ancora di quei pochi che hanno la “curiosità” di scoprire dove noi vogliamo “andare a parare”, con questo vergato, è, a nostro sommesso avviso, giunto il momento di esternare alcune considerazioni su quello che, noi che scriviamo, abbiamo maturato essere il nostro concetto di veritàe sulla “possibile” … “conoscenza” della medesima.


La fatua arroganza e la presunzione di poter conoscere la verità, in uno con la ambiziosa protervia di poterla esprimere in un credo, e quindi di convertire gli uomini alla vera religione, vogliono dire non avere il menomo sospetto del carattere, fatalmente ingannatore, del pensiero e delle sue espressioni nonché esplicitazioni, attraverso il linguaggio, sia esso parlato o scritto.

Vuol dire, ancora, non avere alcun dubbio circa la necessità preliminare di acquisire consapevole coscienza “del sedimento di errori, di pregiudizi, di convenzioni, e di condizionamenti: etici, morali, temporali, ideologici; che lo svolgersi e l’esternarsi del pensiero trascina e deposita nei concetti e nelle parole.


La conoscenza è data dalla esperienza, ed ognuno possiede, quindi, non potendo esservi sovrapposizione, nel vissuto di ciascuno con quello degli altri, la propria e personale comprensione delle cose, in proporzione alla peculiare, singolare, unica, diretta e personale esperienza.


Per conseguenza di quanto sopra asserito, le credenze e le opinioni, di coloro che osiamo definire profani, dal punto di vista di specifiche comprensioni, si equivalgono.


Potremmo quindi concludere che "Credere o pensare la verità", circa un argomento, dal punto di vista di un profano, relativamente all’argomento medesimo, non si distingue dalla valutazioni di un, sedicente iniziato.


Per cui, le loro conclusioni 

non valgono molto di più che “credere o pensare il falso”; perché non si tratta “né di credere, né di pensare, bensì di Conoscere”.


È facile, quindi, conseguentemente, assumere che: 

una fede vale l’altra, una teoria ha la medesima valenza di un’altra, “la sola Conoscenza è unica”.


Perciò la Massoneria si disinteressa delle credenze e delle opinioni profane e dei non iniziati, e si preoccupa, invece, delle possibilità insite nel suo carattere genetico, poiché è soltanto lo sviluppo integrale delle facoltà intrinseche dell’individuo che può dare all’uomo l’Illuminazione.


… [omissis … ]


Atteso però che tutti vivono, quotidianamente, le proprie individuali esperienze, poiché abbiamo affermato che si può credere e pensare il vero o prestare fede e pensare il falso, che cosa differenzia la vera conoscenza ed il vero pensiero dalla falsa convinzione?


La differenza è la medesima che esiste tra il profano e “l’iniziato”, il profano porta con sé ed è gravato, nella sua interpretazione delle esperienze”, da sedimenti di errori, pregiudizi, convenzioni, è vincolato da pensieri e da linguaggi che ne limitano la libera lettura e la interpretazione; di contro, l’iniziato, ... che dopo la sua morte rinasce a nuova vita, è scevro dai preconcetti ed è liberato dai condizionamenti del suo passato.


… [omissis … ]


La luce che risplende nel segreto dei Templi Massonici e nei laboratori alchemici è la medesima luce abbagliante che ha avviluppato con il suo fulgore il TELESTERION di Eleusi, essa si connota anche attraverso la posizione presa dalla Massoneria e da quanto indicato dagli Antichi Misteri, di fronte alle dogmatiche asserzioni di accesi inquisitori, non sappiamo quanto moralmente e sinceramente convinti, conservatori di pseudo opinioni filosofiche e religiose, certamente profane, tendenti innegabilmente più al mantenimento di uno status, economico giuridico, derivante da un potere temporale, veicolato attraverso la imposizione della religione e della fede, piuttosto che sotteso alla ricerca ed all’accertamento della verità; perseverando in atteggiamenti e comportamenti reazionari ed oscurantisti, nella quasi totalità dei casi, per la impossibilità o la incapacità di confutazione degli altrui assunti, questo anche a detrimento di un possibile e presumibile diverso intimo, ancorché celato, personale convincimento. 


                                           Dimentichi, essi, che la “verità” è cosi potente che non ha la necessità di essere imposta. 


… [omissis … ]


Allorquando all’origine di una citazione o di un riferimento, ovvero di un riporto, non vi è un pensiero, od una valutazione di un terzo, bensì un “documento”, allora, si dice,ci troviamo in presenza, non di un dato opinabile, ma, di un “fatto storico”.


Perciò, semplicisticamente, sovente, si afferma che, il mero, pedissequo, riporto di un “documento storico”, all’interno di una ricerca o di un saggio, fa, di questo elemento, il portatore di un messaggio “puro”, sempre che, però, su di esso, non intervengano valutazioni e considerazioni di tipo personale, esternate dall’autore.


… [omissis … ]


Il “lettore-archeologo”, perciò, carica “l’informazione” di propri contenuti e fondamenti veritativi, divenendo quindi: la sua cultura; i suoi trascorsi; la sua esperienza; la sua sensibilità ed il suo stato di iniziato o meno, le componenti imprescindibili di un sistema interpretativo olistico, esclusivamente soggettivo e personale che fa del “documento” uno strumento glossalico, che pur con il medesimo linguaggio, quello con il quale viene rappresentato, sia esso in forma scritta o grafica, è come se fosse completamente scollegato dalla parola o dal simbolo.


In questo particolare e metafisico, quanto pragmatico contesto esplorativo del “documento”, dove le profondità dell'interiorità della comunicazione umana, si rivelano nel loro aspetto spirituale, inserendosi quali “sintagmi” illuminanti di una kantiana, trascendente e conoscitiva intuizione, discordante, perciò, con la visione del mondo degli scettici, dei cosiddetti realisti e dei fautori delle più disparate confessioni.


Ogni “documento storico”, quindi, libero dalla menzogna e lontano dal fuorviante circuito della “spiegazione” e della pretestuosa “glossalizzazione” di chi lo esibisce, è libero di essere, da ciascun consultante, gestito sul piano della propria personale esegesi ermeneutica, atteso che ogni conoscenza e quindi percezione umana è, essendo sempre circoscritta e provvisoria, fatalmente, imperfetta.


Ciò, però, non esclude la verità di quanto, anche solo parzialmente, è soggettivamente percepito, sia dal curioso sia dal ricercatore.


È un errore di fondo, quindi, noi, sommessamente pensiamo, limitare e rinserrare, il nostro assenso ad un solo tipo di evidenza, escludendone e precludendone, aprioristicamente, ogni altra, solo perché meno palese o non riconducibile alle individuali e soggettive conoscenze di ciascuno.


Ancorché possa apparire, epistemologicamente, non corretto, essendo, a nostro avviso, opportuno allargare i concetti di comprensione, non vincolandoli ad una rigida ed ortodossa gnoseologia, tal quale generalmente definita, è, secondo la nostra ferma convinzione, indispensabile rivalutare l'evidenza euristica, nella quale operano, in assonanza ed in armonia, l'intuizione sensibile e quella intellettuale.


Altrettanto giusto ed opportuno è, ipotizziamo, riservare, equanime ed equilibrato spazio, anche all'evidenza morale, se questa, però, non è viziata da un inquisitorio, astratto, sanfedistico, preconcetto scetticismo.


 Questo cavilloso agnosticismo, finirebbe per obnubilare la mente, ma, cosa ancora più grave, per ottundere l'intuizione e la libertà del pensiero.


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