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UN PO' DI STORIA SULLE RICERCHE DELL'ALKAHEST ... prosegui la lettura ... Pag. 2

  • Tra gli scritti di Jean Baptiste Van Helmont (1580-1644), forse il medico più influente del secondo Seicento europeo, non è possibile rinvenire un’opera dedicata specificamente all’Alkahest. 
  • In tutta la sua ampia produzione letteraria vi sono però continui rimandi al liquore, anche nei carteggi intrattenuti con altri studiosi. 
  • Si può tuttavia ritenere l’Ortus Medicinae, il più importante trattato di Van Helmont, come il testo in cui i riferimenti si fanno più corposi
  • Tutta una serie di sinonimi, poi ed ancora sotto questo profilo, l’influenza della tradizione alchemica appare dominante sostituiscono la preziosa sostanza, nei passi in cui è trattata. 
  • Nomi dotati di un certo potere evocativo come ignis acqua, ignis gehennae, liquor unicus, universale solvens, ci ricordano d’altra parte le proprietà dell’Alkahest hel-montiano: si tratta di un dissolvente che trasforma ogni tipo di sostanza, senza per questo mutare o cambiare in quantità, rimanendo inalterato a contatto con i soluti. 
  • Una volta dissolte, le materie si riducono al loro primum ens, uno stato in cui mantengono le loro caratteristiche, restando però prive di ogni sorta di impurità.

  • Van Helmont in effetti riteneva che l’Alkahest fosse in grado di scomporre la sostanza trattata in particelle più piccole, ma non fino al punto di far perdere loro le qualità possedute, e quindi tramutarle in acqua.
  • Nell’opinione di Van Helmont, oltre un certo grado di riduzione le virtù seminali delle sostanze sarebbero desti-nate a disperdersi: “I corpi possono essere ridotti fino ad un determinato limite, oltre il quale si tramutano in una sostanza differente, perdendo le loro proprietà seminali". 
  • Ed entro questo limite l’Alkahest di Paracelso è in grado di ridurre ogni corpo naturale, penetrando in esso.

  • Lo stesso fenomeno tuttavia non si verifica con gli elementi, l’aria e l’acqua, poiché la loro composizione basica e la natura mobile che li caratterizza tramuta i corpi in qualcosa di ancora più semplice e primitivo”.
  • Van Helmont credeva dunque che il segreto operativo dell’Alkahest dipendesse dalla sua struttura, composta dalle particelle più sottili, fatta eccezione per quelle dell’acqua e dell’aria. 
  • Per di più, dopo che l’Alkahest aveva svolto la sua mirabile opera di riduzione delle sostanze al loro primum ens, era possibile recuperarlo per mezzo di una distillazione, senza che avesse subito cambiamenti di sorta.

  • L’alchimista fiammingo credeva inoltre che l’Alkahest corrispondesse al sal circulatum di Paracelso.
  • Val Helmont espresse per la prima volta questa convinzione in una lettera rivolta a padre Marin Marsenne, datata quindici gennaio 1631.
  • In risposta al quesito se solo il fuoco fosse capace di separare la materia nei suoi principi costitutivi, Van Helmont fa cenno ad unsolvente universale, in grado di mutare e sciogliere tutti i corpi senza lasciare traccia, citando Paracelso, il quale nel suo De renovatione et restauratione lo aveva chiamato sale circolato o dissolto. 
In verità, in quest’ultimo trattato, come già ci suggerisce in parte il titolo, si tratta di riportare alla loro essenza perfetta i corpi guastati e corrotti dei metalli, per poi estendere il processo risanatore ed i suoi effetti anche alla salute ed alla longevità dell’uomo.

  • In quest’opera palingenetica, Paracelso pone tra le medicine più indicate i prima entia di minerali e piante, senza tuttavia precisare chiaramente cosa intenda.
  • Il sal circulatum viene richiamato solo al termine dell’opera, al momento di esporre le ricette dei prima entia, senza però spiegare in cosa consista, o come sia possibile ottenerlo. 
  • Grazie al suo legame con i prima entia, questo genere di sale compare ancora nell’Archidoxis, la summa chimica paracelsiana, dove viene lasciata qualche indicazione sul modo di prepararlo, che prevede l’uso dello spirito di vino e del salgemma.

  • Il fatto che lo spirito di vino sia contemplato nella preparazione di un ingrediente necessario a confezionare il primum ens rimanda alla quintessenza, sostanza alchemica descritta nei trattati attribuiti allo pseudo-Lullo.
  • In tali scritti, la quintessenza viene ottenuta proprio grazie all’azione di un solvente alchemico, lo Spiritus vini, un prodotto della distillazione del vino.
  • Il legame diventa ancora più evidente nel quarto libro dell’Archidoxis, sul quale si è concentrata l’attenzione di Paulo Porto.
  • Un capitolo del libro definisce infatti l’ente primo come quintessenza.

  • Nonostante questo elemento, che fa pensare ad un debito diretto di Paracelso verso il corpus lulliano, o perlomeno ad un denominatore comune, l’alchimista svizzero aveva sempre ferocemente criticato procedimenti di questo genere, come d’altra parte la concezione lulliana di quintessenza, a suo avviso un grave fraintendimento.
  • Dunque, anche grazie alla mediazione di Paracelso, di certo non l’unica, il percorso intellettuale dell’Alkahest helmontiano sembra riconnettersi ai principi della filosofia ermetica.
  • Uno delle sostanze principali dell’arte era proprio la materia prima metallorum, lo stato originario della materia di partenza, tappa imprescindibile dell’opera ermetica, cui si poteva giungere solo per mezzo di un dissolvente in grado di liberarla totalmente dalle sue impurità