INDIETRO.PNG INDIETRO          PROSEGUI LA LETTURAAVANTI.PNG

UN PO' DI STORIA SULLE RICERCHE DELL'ALKAHEST ... prosegui la lettura... Pag. 4

  • Fondandosi su queste esperienze, nella sua opera principale, l’Hippocrates chimicus, Tachenius identifica il solvente di Van Helmont con l’acido acetico.
  • Una lettura, quella di Tachenius, completamente chimica, che riduce l’Alkahest ad un prodotto piuttosto comune nei laboratori dell’epoca.
  • Di ben altro avviso, Pierre Jean Fabre (1588-1658), dottore in medicina alla corte di Luigi XIII di Francia, nel 1653 inviava al principe Federico il suo Manuscriptum ad Fridericum.
  • Fabre, dopo aver prima passato in rassegna i principi e le sostanze necessari alla ricerca alchemica, come il mercurio filosofico, rivolge gli ultimi sei capitoli dello scritto al dissolvente universale, liquore a suo giudizio assolutamente indispensabile per ottenere l’Elixir dei Filosofi
  • Forse il Manuscriptum rappresenta il momento a partire dal quale l’Alkahest inizia ad acquisire piena circolazione nella letteratura alchemica, mentre il più largo numero degli autori - come vedremo - sembra confinarlo all’uso medico e terapeutico.

  • L’interpretazione dell’Alkahest esposta da Fabre si mantiene perfettamente nel solco degli adepti: dissolvente e materia prima non sono che lo stesso ente primordiale in forma liquida, la materia primigenia, in cui zolfo, sale e mercurio sono meravigliosamente uniti, senza la minima impurità.
  • È quindi una dissoluzione della materia su cui si opera, che si effettua in virtù di un estremo raffinamento della stessa. In altre parole, dunque, un processo interno, e non l’aggiunta di un liquore.
  • Dopo l’epistola di Tachenius, dobbiamo al medico macerateseLuigi de Conti la prima dissertazione dedicata principalmente all’Alkahest, la Clara Fidelisque Admonitoria disceptatio, edita a Venezia nel 1661.
  • Il libro costituisce un documento di grande interesse, poiché rappresenta una critica dei presupposti di Van Helmont su basi esclusivamente alchemiche, senza cioè che vengano mosse allo studioso fiammingo obiezioni di ordine medico o iatrochimico, tali da non passare attraverso la lente dell’antica disciplina di Basilio Valentino.

  • Conti attacca frontalmente la concezione helmontiana dell’Alkahest, valendosi soprattutto degli antichi testi della tradizione alchemica.
  • E tuttavia, nel confutare la posizione di Van Helmont, colpevole innanzitutto di aver ricondotto l’origine di ogni cosa all’acqua, il medico italiano chiama in causa anche il Geber della Summa perfectionis, ritenuto il nume tutelare dello scienziato fiammingo. 

  • Dagli scritti di Geber in poi, si sarebbe affermata, secondo Conti, una visione errata in base alla quale lo zolfo dei corpi sarebbe da scartare, concentrando i lavori dell’Opera sul solo mercurio.
  • Detto altrimenti, l’alchimia di Van Helmont e con essa il suo elixir risultano irrimediabilmente monchi.
  • Il principio sulfureo è sacrificato come una superfluità da abbandonare, in favore del mercurio, ovvero del principio umido dei corpi.
  • Ma ciò a parere di Conti contraddice le maggiori auctoritates della letteratura alchemica e, naturalmente, la stessa pratica di questa arte: le operazioni dell’alchimia si svolgono infatti per mezzo del matrimonio di entrambi i grandi poli entro cui si realizza l’attività di laboratorio, zolfo e mercurio.
  • Secondo il medico marchigiano, quindi, è un difetto nella comprensione dei principi della teoria alchemica a compromettere senza rimedio la possibile efficacia dell’Alkahest helmontiano.
  • L’opera di Van Helmont, e con essa anche il suo dissolvente, incontrò invece maggior fortuna Oltremanica. 
  • Un vivo interesse verso l’Alkahest e la medicina paracelsiana era ben presente nel circolo di medici e Scienziati che attorniava il poligrafo Samuel Hartlib (1600-1662). 
  • Pur avendo base a Londra, il circolo vantavauna rete di corrispondenze estesa in tutta l’Europa, le cui idee elettive erano la pansofia di Comenio ed il programma empirico di Francis Bacon. 
  • Nella società di Hartlib militavano scienziati, medici e uomini di lettere, spesso nella veste di riformatori sociali e religiosi, animati da una forte simpatia per la filosofia ermetica.
  • Tutti confidavano nell’imminente avvento di una riforma scientifica basata sull’esperienza, che avrebbe spazzato via i vecchi saperi.
  • Il buon giudizio sul lascito dottrinale di Van Helmont era quindi piuttosto comprensibile.
  • Lo stesso Hartlib manifesta un forte interesse per il dissolvente universale in una lettera del sedici marzo 1660, spedita al governatore del Massachusetts John Winthrop.
  • Hartlib cercava l’Alkahest per curare i suoi disturbi fisici, che attribuiva ad un calcolo alla vescica, malattia all’epoca giudicata inguaribile, se non grazie ad un farmaco fuori dal comune.
  • George Starkey (1628-1665), alchimista e medico americano riparato nel 1650 in Inghilterra, figurava indubbiamente tra i membri più illustri dell’Hartlib Circle.
  • Starkey impiegava il nom de plume di Eirenaeus Philalethes per scrivere le sue opere a carattere alchemico, destinate a superare per fama le altre, redatte con il suo vero nome. 

  • Tra queste, l’Alkahest compare nel Natures explication and Helmons vindication.
  • Nel trattato, Starkey spiega di non aver voluto includere preparazioni e prodotti con l’Alkahest, perché - a suo dire - avrebbero distolto i più giovani dal dedicarsi alle ricette più semplici. 
  • L’alchimista americano rimanda i lettori interessati a due opere successive, una, più generica, sulla pirotecnia, ed un’altra dedicata appositamente al liquore di Paracelso, dove l’Alkahest godrà della trattazione meritata. 
  • Nel primo testo Starkey prende di mira la tradizionale medicina galenica, dannosa ed inutile per via delle sue cure a base di purghe e salassi, mentre esalta i contributi di Van Helmont. 
  • Starkey finiva così per trovarsi in piena sintonia con le pronunciate simpatie helmontiane del circolo di Hartlib, dove alcuni membri erano in contatto con il figlio di Van Helmont, Franciscus Mercurius, savant itinerante ed animatore di numerosi ambienti, che aveva curato l’edizione delle opere paterne.
  • Peraltro, nelleEphemeridesdi Samuel Hartlib del 1650, quindi ai tempi dell’arrivo di Starkey in Inghilterra, esistono un paio di note intorno ai lavori condotti dal medico del Nuovo Mondo su una sostanza molto simile all’Alkahest. 
  • La Pyrotechny asserted and illustrated offre invece cinque capitoli sull’Alkahest, che consentono di tracciare una chiara distinzione tra il prodigioso solvente ed il mercurio filosofico. 
  • L’autore impegna infatti un intero capitolo per rimarcare la diversità tra le due sostanze. 
  • Il solvente di Paracelso è ancora protagonista indiscusso nel Liquor Alchahest,  pubblicato postumo nel 1675.
  • Qui Starkey si diffonde più che in ogni altra opera in dettagli pratici e di laboratorio.
  • Egli infatti descrive il metodo per ottenere il sale armoniaco partendo dalla volatilizzazione del sale di urina.
  • Il lettore poteva subito pensarsi premiato dalle generosità di Starkey, che aveva finalmente illustrato il vero iterper arrivare all’Alkahest; tuttavia, verso il termine del libro, egli avvisa di aver descritto
  • la preparazione del dissolvente volgare, e non del filosofico.
  • Torna con il distinguo tra volgare e filosofico, proprio dell’Arte, il linguaggio alchemico, fuso in modo inestricabile con i primi sentori di quella che sarà la scienza chimica, inaugurata dalla rivoluzione quantitativa di Antoine Laurent de Lavoisier.
  • Ancora sul piano operativo, il virtuoso americano era convinto che con la volatilizzazione del sale di
  • tartaro sarebbe riuscito ad ottenere un solvente dai corpuscoli finissimi, assai simile all’Alkahest, capace quindi di sciogliere moltissime sostanze.
  • Fedele al suo ideale di riforma medica, Starkey ambiva ad ottenere una sorta di farmaco universale.
  • Già nell’aprile 1651, del resto, Starkey dichiarava all’amico Robert Boyle di voler abbandonare l’abituale pratica medica, nella quale pure aveva conseguito diversi successi, per dedicarsi alla ricerca del mercurio filosofico, del primum ens paracelsiano, della pietra filosofale e naturalmente dell’Alkahest; in pratica tutti gli arcanadella ricerca alchemica.
  • Nella sua impresa, Starkey era pervaso da un deciso afflato mistico: in una lettera a Boyle del 1652 racconta una rivelazione sul metodo di fabbricare l’Alkahest, elargita da un genio che gli sarebbe provvidenzialmente apparso in sogno.
  • Sotto l’identità di Philalethes, Starkey dedica all’Alkahest un breve trattato, The Secret of the immortal liquor called Alkahest or ignis acqua, cui fa compagnia un altro libro dove si cita a più riprese il dissolvente, An exposition upon Sir George Ripley’s epistle.
  • Risulta pressoché certo, inoltre, che in The Marrow of Alchemy Filalete torni ad occuparsi del dissolvente universale, poiché parla di un liquore atto a risolvere ogni corpo nella sua materia primitiva, chiamato Fire of Hell, con ogni probabilità una traduzione dell’ ignis gehennae helmontiano.