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UN PO' DI STORIA SULLE RICERCHE DELL'ALKAHEST ... prosegui la lettura... Pag. 5

  • Allegorie ed ambiguità tipiche del canone di scrittura alchemico rendono tuttavia quasi indecifrabili i lavori dell’alter ego di Starkey, di solito decisamente più comprensibile nelle opere redatte con il suo vero nome.
  • Fin dagli esordi della sua lunga e proficua avventura sperimentale, Robert Boyle (1627-1691), l’uomo di scienza più celebre della seconda metà del Seicento, rimase attratto dal solvente universale, e dai suoi padri Paracelso e Van Helmont, che salutava come patriarchi tra gli spagirici.
  • Ciò è dovuto per buona parte al suo sodalizio intellettuale con George Starkey, che proseguì anche dopo la rottura del medico con il circolo di Hartlib.
  • Anche Boyle era del resto in contatto con gli esponenti del circolo, con i quali condivideva l’entusiasmo per la iatrochimica di Van Helmont e per la ricerca empirica, in cui era insuperato maestro, come testimoniano i suoi esperimenti sulla pompa ad aria e sulla salinità del sangue.
  • Al medico fiammingo, da cui fu profondamente influenzato, Boyle contestava però la concezione che faceva dell’acqua il sostrato di ogni materia.
  • E tuttavia nel suo Sceptical Chymist Boyle ripeteva in sostanza la lezione di Van Helmont, affermando che dopo aver ridotto i corpi, il solvente universale poteva essere recuperato ed usato nuovamente, non avendo subito alcuna variazione in pondere ac numero.
  • Fatto singolare, in un’opera giudicata per lungo tempo un attacco feroce contro gli alchimisti ed i sostenitori della filosofia ermetica. In realtà il bersaglio polemico di Boyle erano alcuni paracelsiani, che ancora contavano di riportare tutti i corpi ai tria principia del loro maestro.
  • Contro l’immagine del genio empirico vocato esclusivamente alla costruzione della futura scienza chimica, la storiografia più recente, soprattutto grazie alle ricerche di Lawrence Principe e William R. Newman, ha scoperto un uomo di scienza che non si limitava a credere nella possibilità delle trasmutazioni alchemiche, ma pure aderiva agli obiettivi dell’Arte di Geber e Basilio Valentino, restando influenzato dai principi della filosofia ermetica anche nei suoi lavori scientifici.
  • Talmente radicati e vigorosi erano gli interessi alchemici di Boyle da farlo entrare in corrispondenza, tra il 1677 ed il 1678, con Georges Pierre, sedicente patriarca di Antiochia di un segreto gruppo di adepti, probabilmente in gran parte francesi, l’Asterisme.
  • L’Alkahest helmontiano occupava dunque un ruolo importante, se non primario, nella vita intellettuale e scientifica di Boyle.
  • In un elenco delle sue opere, databile intorno al 1680, compare il trattato Of the Liquor Alchahest and Other Analizing Menstruums, purtroppo perduto.
  • Come Van Helmont nella sua risposta a padre Mersenne, Boyle si serve del dissolvente anche per porre in secondo piano l’attenzione sperimentale verso il fuoco, mezzo privilegiato per separare e ridurre i corpi nei loro componenti.
  • Il ritrovamento - pochi anni orsono - di alcuni manoscritti negli archivi della Royal Society ha peraltro confermato quanta fortuna incontrassero ricerche e speculazioni sull’Alkahest presso i virtuosi del Seicento Inglese.
  • I documenti ci riportano un dibattito risalente all’ottobre 1661, ad un anno dalla fondazione dell’accademia.
  • Il confronto si basava sulla ricerca di un liquore estratto da alcuni animali, simile all’Alkahest.
  • È curioso osservare come in queste pagine l’Alkahest sia definito liquore immortale e venga introdotto esponendo sia le teorie di Van Helmont, sia concetti tipicamente paracelsiani, come i tria prima.
  • Infine, come già aveva fatto Starkey, la materia di partenza è identificata con l’urina.
  • Promotori di questa indagine erano Henry Oldenburg (ca 1617-1682), primo segretario della Royal Society, ed il dottor Jonathan Goddard.
  • L’occasione era giunta dal nuovo interesse per l’apparato linfatico degli animali, in cui si riteneva scorresse un umore dalle proprietà straordinariamente simili a quelle del dissolvente universale.
  • Risulta coinvolto nella rete di relazioni di Oldenburg, tra le più fitte dell’Europa seicentesca, anche Johann Seger Von Weidenfeld, autore del monumentale De secretis Adeptorum, edito una prima volta a Londra nel 1684, e quindi, l’anno seguente, ad Amburgo.
  • Opera dedicata a Robert Boyle, che Weidenfeld aveva conosciuto di persona, il De secretis si concentra sull’Alkahest e sulle distillazioni alchemiche.
  • Fin dalle prime pagine Von Weidenfeld chiarisce il suo pensiero, prendendo le distanze dalla tradizione paracelsiana, inizialmente seguita:
“Quando iniziai ad esaminare più a fondo (i mestrui e solventi paracelsiani), ed a confrontare le loro proprietà con quelle dell’Alkahest, mi accorsi che tra di essi passava la più grande differenza […].
Rimosso allora un tale Impedimento passai dai testi di Paracelso alle opere di Basilio, Lullo e di altri Filosofi di tale levatura, che confermavano con una voce sola ciò che rimaneva disperso tra i solventi paracelsiani.
A quel punto mi fu chiaro e lampante il senso di ogni cosa, ed appresi con grande semplicità il modo di prepararli, e la loro natura.
Mi rimase ignoto solo il massimo arcano, lo Spiritus vini filosofico, che rivela a chi ne abbia compreso il segreto, e lo possieda, i più grandi misteri dell’Arte, gli arcani medici, filosofici, alchemici e magici”.

  • Rifacendosi allo Spiritus Vini, Weidenfeld si pone in diretta continuità con la linea teorica dello pseudo-Lullo, già ben nota a Paracelso ma da lui ferocemente criticata.
  • Nella fazione degli “alchimisti”, di coloro che in altre parole sposavano una lettura completamente alchemica del dibattito sull’Alkahest, accanto a Pierre Jean Fabre, Luigi de Conti e Von Weidenfeld può ben figurare Christian Adolph Baldwin(1632-1682), dotto magistrato di origine sassone, autore dello Aurum superius et inferius.
  • Lo studioso è noto anche per aver scoperto una forma fosforescente del nitrato di calcio, chiamata da allora phosphorus balduini, di cui tratta nell’operetta in appendice, Phosphorus hermeticus sive magnis luminaris.
  • Baldwin, Badouin, o Balduinus, (la grafia del nome oscilla secondo la fonte tra francese, tedesco e latino), affronta tuttavia il tema da un’angolatura diversa. 

Nelle pagine di Balduinus si impone infatti un altro concetto di grande fortuna nella letteratura alchemica, l’idea che esista uno spirito universale, lo Spiritus Mundi, capace di far circolare nel mondo il proprio alito vitale, una forza che impregna gli esseri che abitano la terra, e persino i minerali che nascono nel suo seno.

  • Tale soffio può essere concentrato in un sale particolare, chiamato magnesia, salpetra onitrum, che contiene anche i principi dei metalli, lo zolfo ed il mercurio, come pure l’alito vitale delle creature animate.
  • In virtù dell’analogia tra lo spirito ed il sale atto ad attrarlo, che già nel titolo Balduinus chiama  rispettivamente oro ermetico superiore ed inferiore, si riuscirà ad arrivare alla confezione del dissolvente universale.
  • Da questa materia prima, dal nitroo sale in grado di attrarre lo Spiritus Mundi proprio come un magnete fa con il ferro, potrà essere ottenuto l’Alkahest.
  • Su una linea di pensiero assai simile si collocava anche sir Kenhelm Digby (1603-1665) con la sua polvere di simpatia, e pure, con un’attitudine certo più empirica, il medico e iatrochimicoJohn Mayow (1640-1679), i cui esperimenti col salnitro lo portarono ad ipotizzare l’esistenza di uno spiritus nitrus aereus, una parte dell’aria responsabile di fenomeni come la combustione e la respirazione animale.
  • Il compendio di una stagione di confronti, dotte discussioni ed esperimenti si condensa nella dissertazione di Johann Kaspar Wedekind, edita ad Erfurt nel1685.
  • L’opera raccoglie digressioni ed estratti raccolti da un nutrito numero di autori, tra i quali figurano Paracelso, Van Helmont, Boyle e Starkey.
  • Wedekind tra gli altri attribuisce un grande ruolo a Johannes Ioachim Becher (1635-1682), studioso di medicina e mineralogia, di cui compare il maggior numero di citazioni, e per il quale, tuttavia, l’Alkahest rivestiva un’importanza tutto sommato modesta. 
  • Nell’insieme, il lavoro di Wedekind costituisce una raccolta piuttosto nutrita sul tema del solvente, eppure priva di un giudizio originale. 
  • In affinità con le simpatie mostrate per un empirico come Becher, le conclusioni dell’autore sembrano decisamente condurre ad un’interpretazione puramente iatrochimica. 
  • Per Wedekind infatti, in base alla copiosa letteratura citata, il dissolvente universale si ricava dai sali
  • dei tre regni di natura: l’urina, il salnitro ed il tartaro di vino.