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UN PO' DI STORIA SULLE RICERCHE DELL'ALKAHEST

Il primo a menzionare l'alchaest fu Paracelso, che potrebbe tuttavia averlo coniato anche da parole arabe, come القلية (al-kali o al-qali), con cui si designavano le sostanze alcaline, capaci di neutralizzare gli acidi.

  • Un'altra possibile etimologia al riguardo è dal latino alcali est («è un alcali»).
  • La ricetta dell'alchaest di Paracelso, che era interessato solo all'aspetto terapeutico dei prodotti alchemici, non curandosi della trasmutazione dei metalli, poteva basarsi secondo alcuni su acqua regia, oppure su una soluzione di ossido di calcio o carbonato di potassio disciolto nell'alcool.
  • Paracelso lo menziona in un piccolo trattato incompiuto, De viribus membrorum (1526-1527 circa), in cui descrivendo i farmaci per i vari organi del corpo umano, gli attribuisce la forza corrosiva del fegato:
    • «Evvi ancor il liquore Alkahest, di grande efficacia per conservar il fegato, e per guarire i mali idropici, ed ogn'altro che procede da disordini di tal parte. Vinto una volta il suo simile, diviene superiore a tutti gli altri medicamenti epatici; e sebbene fosse rotto, o disfatto l'istesso fegato, pure questa medicina supplirebbe la sua vece.»

    (ParacelsoDe viribus membrorum, trad. it. in Efraimo Chambers, Dizionario universale delle arti e delle scienze, vol. I, pag. 135, alla voce «alkahest», Venezia, presso Giambatista Pasquali, 1749)
    Oggetti veduti con il microscopio, tav. II. Tratta dal Dizionario Universale delle arti e scienze del Chambers - copertinaIstoria Naturale, tav. I. Tratta dal Dizionario Universale delle arti e scienze del Chambers - copertinaNavigazione , tav. I. Tratta dal Dizionario Universale delle arti e scienze del Chambers - copertinaIstoria Naturale, tav. III. Tratta dal Dizionario Universale delle arti e scienze del Chambers - copertinaOggetti veduti con il microscopio, tav. V. Tratta dal Dizionario Universale delle arti e scienze del Chambers - copertina

In seguito l'alkahest verrà considerato come il fuoco creatore di cui risulta composta la stessa pietra filosofale, sebbene a differenza di quest'ultima, dalla natura fissa, esso resti volatile.

  • L’Alkahest viene citato appena dopo un misterioso rimedio epatico, il Cheiri: “Vi è pure il liquore Alchahest, che possiede grande forza e efficacia per conservare e irrobustire il fegato, e anche per preservarlo dagli edemi che i disturbi epatici possono causare.
  • Persino se il fegato risulta già in rovina, questa sostanza lo rimette in funzione, come se non avesse mai subito danno.
  • Pertanto, chiunque di voi si occupi di medicina, dovrebbe impegnarsi col più grande zelo ad apprendere la preparazione dell’alchahest per scacciare i numerosi disturbi di origine epatica”.
  • Seguendo le parole di Paracelso, l’Alkahest sembra limitarsi ad essere un prodigioso filtro, in grado di risanare il fegato da ogni danno che lo abbia colpito.
  • Paulo Porto nel suo contributo sull’Alkahest precisa invece che il significato del termine muta già prima di Van Helmont, come del resto si è già potuto notare nelle definizioni di Ruland. 
  • Ancora prima, nel dizionario del medico ed erudito Gerard Dorn incontriamo una descrizione uguale a quella del Ruland, senza però trovare alcun cenno al rimedio epatico. 
  • Fuori dal corpus paracelsiano, Joly fa risalire la più antica attestazione dell’Alkahest al lessico di Michael Toxites (Michael Schütz;1514–1581), l’Onomastica, dove il dissolvente, come recita la seconda voce di Ruland, viene descritto come un mercurio che dovrebbe curare il fegato.
  • È probabile che Toxites e gli altri autori, sulla scorta della philosophia naturalis paracelsiana, abbiano individuato in questo liquore una particolare forma di mercurio curativo.
  • Al fine di inquadrare la natura dello slittamento semantico intorno all’Alkahest, si rende dunque necessario esaminare la dottrina medica di Paracelso, su cui si fondava il corpus terapeutico dei dottori che a lui si rifacevano.

Chiave di volta della medicina paracelsiana è il principio similia similibus curantur, secondo il quale solo un rimedio omologo al male è in grado di rimuoverlo. 

  • Per la teoria medica dell’alchimista svizzero, l’origine delle patologie è esterna al corpo: gli agenti che le provocano si attaccano all’uomo ed ai suoi organi; di conseguenza, i farmaci in grado di eliminarli dovranno avere uno speciale legame di affinità con essi.
  • In altre parole, il rimedio per un determinato malanno dovrà possedere una o più qualità analoghe al male stesso. 

Lo schema da seguire si fonda sui tria principia, zolfo, mercurio esale, i quali secondo Paracelso compongono tutti i corpi. 

  • Lo schema da seguire si fonda sui tria principia, zolfo, mercurio esale, i quali secondo Paracelso compongono tutti i corpi.
  • La dottrina paracelsiana dei principi rappresenta un’applicazione dell’antica teoria alchemica, per la quale lo zolfo e il mercurio erano gli ingredienti primari di tutti i metalli.
  • Ad essi Paracelso aveva aggiunto il sale, fino ad allora non contemplato.
  • Seguendo ancora la teoria paracelsiana, i tre principi non si rivelano puramente materiali; essi possiedono qualità spirituali, ovvero caratteristiche che ne fanno le forze capaci di plasmare l’essenza interna e l’aspetto esteriore dei corpi: 
·        lo zolfo genera la combustibilità,
·        il sale invece è causa della solidità di un corpo,
·        mentre il mercurio è responsabile delle sue proprietà umide e vaporose.

  • In altri termini il mercurio è l’agente trasformatore, ilsale dona al corpo massa e stabilità, mentre lo zolfo ne dispone la struttura
  • Tali principi agiscono sui quattro elementi, chiamati anche matrici. 
  • Ogni corpo conserva, inoltre, un suo principio prevalente, il quale estrinseca i suoi effetti su di esso in modo particolare. Ne deriva, ad esempio, che nel caso di malattie dalle caratteristiche saline, come certe patologie della pelle, il farmaco adatto alla cura sarà un sale. 
  • Con il termine mercurio, tuttavia, oltre alla qualità primaria di un corpo - la quale può competere anche al sale o allo zolfo - è possibile indicare anche il prototipo stesso del disturbo e della cura. 
  • Spiega infatti Walter Pagel, nella sua insuperata esposizione della medicina di Paracelso:

“Le cose sono ciò che sono in base a determinate qualità, e mantengono tra loro vincoli di simpatia e repulsione.

Tutto ciò accade in virtù del principio mercuriale presente in esse.

È per questa ragione che ogni rimedio è chiamato mercurio, perché in questo modo si fa riferimento alla proprietà specifica di una determinata pianta, o di un determinato farmaco chimico.

Ogni corpo, quindi, è retto dai tre principi, ma il dottore che cura e guarisce è il principio mercuriale, lo stesso che d’altra parte causa paralisi, letargia, tumori e corrosioni.

Qui si rivela un principio omeopatico: nella causa della malattia si nasconde la cura.

Ne consegue che il mercurio è il prototipo di ogni agente patogeno, come di ogni medicina, poiché la sua natura mutevole può portare a miglioramenti come ad esiti più severi.

Va tuttavia precisato che la singola malattia, nello specifico, può essere generata in alternativa da ognuno dei tria principia, sale, mercurio, o zolfo”.

  • Secondo questa prospettiva, il mercurio appare il modello per antonomasia di ogni pharmakon; detto altrimenti, essendo l’agente trasformatore, può indicare ogni rimedio in grado di curare una specifica affezione del corpo.
  • Così si spiegherebbe l’associazione, comparsa nei dizionari, tra il mercurio preparato e l’Alkahest.
  • Porto e Joly hanno presentato due ulteriori ragioni per spiegare l’identità di mercurio ed Alkahest.
  • Porto riprende la monografia di Pagel, dove si evidenzia come il mercurio e l’Alkahest fossero rimedi contro l’idropisia, generalmente associata al fegato.
  • Joly invece ritiene che Toxites, primo tra i lessicografi, abbia sovrapposto l’estratto sull’Alkahest del De viribus membrorum al passo di un’altra opera paracelsiana, il De gradibus, che descrive il mercurio come una medicina epatica.